Il silenzio dei classici dell'antichità
romana sul fiume Piave, è parso strano agli scrittori e
geografi del medio evo i quali rilevarono che i più antichi
scrittori, da Tito Livio a Strabone, da Polibio a Tolomeo Claudio e
particolarmente Plinio Secondo, mentre passarono in rassegna tutti i
principali fiumi veneti, non fecero mai alcun cenno all'esistenza del
Piave il quale, in ordine di importanza, è il secondo fiume
del veneto e il quinto d'Italia.
Da questa omissione nacquero diverse
ipotesi intorno all'originario corso del fiume ed a successive sue
trasmigrazioni, le quali ipotesi in massima, furono basate su errate
presunzioni o su fantastiche leggende e tradizioni.
La loro discussione ha creato, nel
corso di cinque secoli, una doviziosa letteratura che non si potrebbe
citare completamente e confutare senza occupare uno o anche più
appositi volumi.
Fatica che riuscirebbe inutile poiché
la maggioranza degli autori dei secoli scorsi non fece che ripetere
ciò che era stato scritto da altri in precedenza, senza recare
alcun nuovo apporto di sicure documentazioni, quando non intervenne a
complicare l'argomento, avanzando nuove e più strampallate
congetture fondate su analisi filologiche o su azzardate
interpretazioni di ruderi lapidari, oppure su semplici e fantasiose
induzioni personali.
(Il Bonifaci
nella sua storia “Istoria di Trevigi” edita a Treviso in
prima edizione nel 1591 dice che molti affermavano “non esser
stata la Piave degli antichi nominata perchè ai tempo loro non
era al mondo, né esser meraviglia ch'ella da poi sia nata come
ad altri fiumi è occorso o per grandi terremoti o perché
molti spiriti stati nelle viscere della terra lungamente rinchiusi,
rompendo finalmente, mandino fuori acque, o per altro motivo”)
Solo a partire dal
1900 la questione cominciò ad essere sottoposta al vaglio
della indagine scientifica e da allora si potè dimostrare la
fondatezza delle tesi anche ingegnosissime sulle quali si era
polarizzata l'attenzione di una pleiade di naturalisti, geografi e
letterati.
Il progresso
maturato dalle scienze geofisiche, come ha squarciato molte tenebre
che avvolgevano la storia della nostra terra, così ha
dimostrato che il Piave da millenni scorre nell'attuale suo corso.
Ma tali sicure
conclusioni, per quanto riportate in autorevoli pubblicazioni, non
vennero sufficientemente valorizzate e rimasero racchiuse nell'ambito
di opere scientifiche, dimodochè ancor oggi non solo il popolo
rimane abbarbicato alla tradizione, ma anche la maggioranza delle
persone colte ritiene che il Piave nell'età romana scendesse
al mare per altra via che non fosse l'alveo attuale.
Riteniamo quindi
doveroso ritornare sull'argomento e riassumere nella forma più
concisa le leggende formatesi intorno al corso del fiume e tramandate
di generazione in generazione sino al secolo scorso, per esporre poi
le ragioni scientifiche in base alle quali tali leggende devono
essere ormai relegate nel mondo delle favole.
Dall'esame accurato
dell'antica letteratura storica e geografica compiuto da scrittori e
scienziati che si occupano dei fiumi e dell'idraulica veneta, è
risultato che il primo accenno al fiume Piave è apparso, vero
la fine del secolo sesto, da Fortunato Venanzio Vescovo di Poitiers
(nativo di Valdobbiadene e morto vecchissimo nel 617) in una lettera
con la quale dedica a Gregorio Vescovo di Tours, un suo poemetto
sulla vitaq di S.Martino, e nella quale descrive il viaggio compiuto
da Ravenna a Tours per visitare il sepolcro del Santo.
(Così
scrisse Fortunato Venanzio: “De Ravenna progrediens Padum,
Athesim, Brintham, Piavem, Liquentiam, Tagliamentunque tranans per
Alpem Iuliam ecc “)
Circa due secoli
dopo lo storico Paolo Diacono nella sua “Storia dei Longobardi”
tornò a nominare il Piave rammentando l'incontro avvenuto nel
568 sul Piave fra Re Alboino e il Vescovo Felice di Treviso nel
quale, Il Presule, seppe placare le ire del capo degli invasori ed
ottenere l'amicizia, salvando Treviso dal saccheggio e dalla strage
(Dalla “Storia
di Treviso” di Adriano Augusto Michieli rileviamo il testo
esatto della citazione fatta da Paolo Diacono: “Igitur Alboin
cum ad fluvium Plabem venisset, ibi et Felix, episcopus Tarvisiane
Ecclesia, occorrit; cui rex, ut erat largissimus, omnes suae
ecclesiae facultates postulanti concessit, et per suum pragmaticum
postulata firmavit”.)
Per qualche secolo ancora le citazioni sul fiume Piave furono alquanto scarse e dovrebbero trovarsi in alcuni diplomi, ricordati dal cronista Giorgio Piloni che, nel quindicesimo secolo, scrisse una Storia di Belluno e da altri storici che gli successero.
Il Poloni accenna ad un Diploma dell'anno 923 con cui l'imperatore Berengario avrebbe donato ad Aimone, Vescovo di Belluno, la Corte Docale fissando i confini dei territori sottoposti al pagamento delle decime, ed altro decreto con cui l'imperatore Ottone II, nel 962, ha donato a Sicardo, vescovo di Ceneda, alcune terre prossime a quella città. Nell'uno e nell'altro ricorre il nome del Piave quale fiume scorrente nella valle Lapisina e nei pressi di Ceneda (attuale frazione di Vittorio Veneto).
Bernardo Giustiniano, nella storia dell'origine di Venezia, scrisse che Paolo Ipato cioè Paoluccio Anafesto, che fu il primo Doge della Serenissima, stipulò nel 697 un trattato con Liuprando Re dei Longobardi mediante il quale vennero estesi i confini del suo stato “dalla Piave Maggiore sino al loco suo vecchio il quale si chiama Piave Secca”.
In altri documenti o Diplomi del 968 e del 996 si troverebbe chhe Altino era edificata in prossimità del Sile e della Piave, ciò che si verrebbe confermato da una Bolla di Urbano III eletto papa nel 1188.
Sull'autenticità di tali documenti, o quanto meno dei brani di essi, riportati dagli storici che abbiamo citato, vennero elevati alcuni dubbi da altri non meno autorevoli autori, né esiste la possibilità di controlli e raffronti perchè non siamo riusciti, nelle nostre ricerche, a conoscere se o dove gli originali dipolomi siano ancora conservati.
Ora è da riflettere che proprio dalla interpretazione di frasi latine, non sempre facilmente leggibili, contenute in antiche pergamene o dalla decifrazione di antiche mappe o carte topografiche alquanto schematiche, sorsero dubbi sulla esistenza dell'attuale corso del Piave agli inizi dell'era Cristina e le opposte credenze sul corso antico del fiume.
Tali credenze trovarono alimento nella omissione del Piave che si riscontra nella descrizione della antica idrografia veneta contenuta nel libro III della Storia Naturale di Plinio Secondo.
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