Riportiamo il testo
latino del passo Pliniano:
“Sequitur
decima regio Italie, hadriatico mari adposita, cuius Venetia, fluvius
Silis ex montibus Tarvisianis (o “Taurisanis” o “fontibus
Taurisanis”), oppidum Altinum, flumen Liquentia ex montibus
Opiterginis et portus eodem nomine, colonia Concordia, flumena et
portus Reatinum (o Romatium), Tiliaventum Majus Minusque. Anaxum (od
“Anassum”) quo Varamus defluit, Alsa, Natiso cum Turro,
praefluentes Aquileiam coloniam XV M. pass. a mari sitam”
Brano che viene tradotto da Lodovico Domenichi (1844) come segue:
Segue la decima ragione d'Italia, posta sul mare Adriatico,
chiamata Venezia il cui fiume è il Sile nato dalle montagne di
Trevigi. Evvi la città di Altino, il fiume della Livenza dei
monti di Uderzo ed il porto del medesimo nome: Concordia colonia, il
fiume e il porto di Romanzio o Romantino, il Tagliamento maggiore e
minore e l'Anasso ove defluisce Varrano; l'Alsa, il Natisone insieme
col Turro i quali corrono presso alla colonia di Aquileia posta
quimdici miglia lungi dal mare ...”
Il testo latino del passo Pliniano non è riportato in unica
precisa forma nelle edizioni e pubblicazioni da noi consultate.
Così la frase “ex Montibus Taurisianis” che appare
nelle Correzioni Pliniane del Barbaro, divenne “ex Montibus
Tarvisianis” nell'opera del Domenichi ed è trasformata
in “ex Fontibuis Taursanis” in altre edizioni.
Naturalmente tali discordanza si sono ripercosse nelle traduzioni del
brano latino e sulle sue interpretazioni tese a spiegare la ragione
per cui, il più importante fiume della decima regione italica
non venne citato col suo nome da Plinio Seniore, il quale, per essere
veronese di nascita e per aver visitato i luoghi non poteva incorrere
in simili errori o dimenticanze.
E mentre vi fu chi espresse la convinzione che il Piave confondesse
anticamente le sue acque con quelle del Sile, vedendo a quest'ultimo
il nome, e chi fu d'opinione che il fiume non esistesse ai tempi di
Cristo, altri semplificarono l'enigma formulando l'ipotesi che col
nome Anaxum sia stato indicato il Piave.
Quest'ultima idea, che sembra sia sorta dalla fervida mente
dell'abate e filosofo Pierio Valeriano nella prima metà del
1500, venne accolta con simpatia e sorrise ai poeti e letterati del
tempo i quali ribattezzarono il Piave con il nome di Anasso,
dimodochè quest'ultimo ricorre sovente nelle opere letterarie
dei secoli scorsi.
(Pierio Valeriano Bellunese, professore di filosofia
all'Università di Padova, nei suoi ultimi anni (1550) tenne
una serie di conferenze in Belluno nel Palazzo dei Serviti trattando
delle antichità Bellunesi. Uno dei suoi discorsi ebbe per
argomento il Piave che Valeriano disse di voler chiamare con il suo
vero antico nome di Anasso derivato dal vocabolo greco indicante non
navigabile contro corrente).
Il Valeriano dimostrò con dotte argomentazioni che il fiume
non ha mai cambiato il suo corso attraverso alla Val Belluna evolle
dimostrare con abili artifici filologici e riportandosi ad induzioni
derivanti da proverbi e tradizioni, che il “Varamus”
deflunete secondo Plinio, in Anassum altro non era che il fiumicello
Rai emissario dal lago di Santa Croce ed affluente del Piave.
Dimenticò o non volle considerare il Valeriano l'ordine tenuto
da Plinio nel nominarei fiumi veneti, ordine che va da occidente ad
oriente per cui l'Anasso veniva a trovarsi dopo, ossia a sinistra del
Tagliamento.
La sua dimostrazione pertanto non poté reggere alla critica
degli storici e studiosi che successivamente e cono non minore
erudizione si occuparono dell'argomento, come non potè
reggersi la tesi da lui sostenuta che il fiume abbia perduto il nome
greco, datogli dagli Euganei costretti da Antenore a rifugiarsi in
Cadore, per assumere quello di Flavio (poi mutato il Plavio e Piave)
in eterna memoria del nobile Romano Caio Flavio Ostilio che, ai tempi
do Sertorio (110 AC) governò la regione compresa fra Belluno e
Verona e restaurò la città di Belluno.
Devesi pero' riconoscere all'abate filosofo il merito di aver
combattuto per primo l'assurda leggenda che il Piave nell'età
romana scorresse nella valle Lapisina da Ponte nelle Alpi a Vittorio
e quindi a Treviso per scaricarsi sul Sile, leggenda che, come
abbiamo detto in precedenza, tutt'ora esiste in quanto viene
sostenuta da autori illustri e da Giovanni Sartori.
Il Candido nei suoi “Commentari Aquileiensi” contrastò
apertamente la opinione che l'Anasso fosse il Piave, che il Varramo
ne costituisse l'affluente ed adombrò forse per primo
l'ipotesi che Plinio abbia voluto identificare, col nome di Anassum,
il Tagliamento minore, ossia quel fiume di risorgiva che assunse poi
il nome di Stella e nel quale si scaricava il Varramo ossia l'attuale
Varmo.
Giovanni Candido spiegò poi nel seguente modo il silenzio di
Plinio sul Piave:
“La
Piave e il moderno Sile sono stati anticamente un fiume solo; la
Piave nasce nel monte Selio che ora volgarmente Scesi si chiama;: dal
qual monte il fiume ha preso il mome di Sile e che scorrendo per
Belluno e per il Feltrino tra Nervesa e Colfosco per l'antico letto
suo scorreva si a Trevigi entrando in quel fiume che ira Sile di
dice, di due fiumi facendone uno solo”.
Nell'oscurità che involve il testo di Plinio, nell'incertezza
dovuta all'alterazione dei nomi e dei luoghi, nel difetto di memorie
che potessero far luce sugli antichi eventi, la tesi del Candido
appare, per quei tempi, logica e soddisfacente.
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